Mauricio PINILLA ||| A UN CENTIMETRO dalla GLORIA
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 Published On Jan 26, 2023

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Uno pensa alle storie di calcio che arrivano dall'Argentina o dal Brasile e se le immagina sempre polverose, a bassa definizione, in bianco e nero, colori sbiaditi e contorni incerti, intonate con strani accenti arrotati per dare l'illusione del Sudamerica. Per esempio, la storia del Trinche Carlovich: un calciatore leggendario, un argentino pigro e geniale degli anni '70 di cui nessuno ha mai visto nemmeno un fotogramma. O tutte le storie di Uruguay 1930, il primo Mondiale vinto dalla Celeste con una finale contro l'Argentina sotto la neve, o Brasile 1950, il secondo Mondiale vinto dalla Celeste: Maracanazo, basta la parola. E poi Pelé, Garrincha, Obdulio Varela, ovviamente Maradona... invece questa è una storia di calcio sudamericano di oggi, in alta definizione, per qualcuno anche in 4K. Alcuni dei protagonisti stanno scendendo in campo anche in questo Mondiale, per esempio Thiago Silva. È la dimostrazione che l'epica del calcio, la sua crudeltà, il paradiso e il purgatorio divisi da un paio di centimetri hanno senso e valore anche al giorno d'oggi. Eccome. Anzi, oggi è tutto più amplificato, moltiplicato per centomila, tambureggiato in tempo reale, fino a diventare insopportabile. Per esempio, il rumore. Qual è il rumore di una delusione sportiva? Forse questo, emesso da un popolo intero, da un Paese intero, al minuto 120 dell'ottavo di finale Brasile-Cile, Mondiali 2014.
Nel 2013, mentre si trova sull'aereo che lo sta portando a Rio de Janeiro per la Giornata Mondiale della Gioventù, Papa Francesco fa una battuta a una giornalista brasiliana: “Lo so che per voi un Papa argentino non è il massimo della vita, ma non potete chiedere troppo: voi avete già Dio!”. Oh, se lo dice lui... I brasiliani sono proprio convinti di avere questo canale preferenziale con Nostro Signore e in quest'ottica stanno interpretando qualunque accadimento attorno al Mondiale 2014, per quattro generazioni di brasiliani il primo Mondiale in casa della vita. Anche se i vecchi ricordano sempre con terrore l'incubo del 1950, che in quei giorni è evocato continuamente dalle trasmissioni televisive, dai giornali, anche dal battage pubblicitario dei Paesi rivali: per esempio dagli uruguayani, con uno spot della Puma in cui compare proprio lui, il Fantasma del Maracanà, un lenzuolo celeste con su scritto 50 che si aggira per Rio de Janeiro e finisce la sua corsa proprio al Maracanà.
Tutti i brasiliani sono andati a controllare il tabellone, per vedere quali e quante partite si giocheranno al Maracanà dopo il girone: una e una sola, ovviamente la finale. Se il Brasile vincerà il suo gruppo avrà un ottavo di finale a Belo Horizonte, un quarto a Fortaleza, una semifinale ancora a Belo Horizonte. E il Brasile vince il girone: senza incantare, 7 punti in tre partite contro Croazia, Messico e Camerun, qualche aiutino arbitrale, tantissima pressione soprattutto sulle spalle di Neymar, O Ney, il Predestinato, il Numero 10. Meglio in difesa che in attacco, dove il ct Scolari ha avuto la sfortuna di incappare nella peggior generazione di attaccanti della storia del Paese: a parte Neymar, l'idea che per un'estate i ragazzini siano aggrappati a gente come Hulk, Fred, Jo o Bernard farebbe arrossire i padri che hanno visto l'82, o i nonni che hanno visto il 58 e il 70.
Il tabellone prevede che agli ottavi il Brasile incroci la seconda classificata del Gruppo B, il “grupo de la muerte”, e non è un bel sorteggio: quasi certamente o la Spagna campione del mondo in carica, o l'Olanda che ha eliminato il Brasile quattro anni prima in Sudafrica. Quasi: perché a sorpresa salta fuori il Cile, la Roja, che vive una settimana da dio e batte prima l'Australia e poi fa a pezzi la Spagna, 2-0 in mezz'ora, i campioni del mondo ridotti a gazpacho. Come un antivirus aggiornato, il Cile di Jorge Sampaoli è la versione riveduta e corretta della macchina da calcio allenata dal Loco Bielsa in Sudafrica. Campioni come Alexis Sanchez e Arturo Vidal hanno raggiunto la piena maturazione, il Pitbull Gary Medel è un leader formidabile nel tenere insieme difesa e centrocampo, il portiere Claudio Bravo è uno dei migliori al mondo e dopo il Mondiale diventerà il numero 1 del Barcellona. Poi ci sono degli specialisti del Sudamerica, campioni a metà rigettati dal calcio europeo ma micidiali con la Roja: per esempio Edu Vargas, una meteora a Napoli ma una macchina da gol in Nazionale, oppure “il mago” Jorge Valdivia, pigrissimo, incostante, non adatto alle nostre latitudini, una stella nel Palmeiras.

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