FRANCESCO GUCCINI - AMERIGO
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 Published On Oct 8, 2022

#Amerigo pubblicato nel 1978, è l'ottavo album di Francesco #Guccini.

Registrato presso gli studi GRS di Milano nei mesi di marzo e aprile del 1978, il titolo del disco deriva dal nome del noto esploratore Amerigo Vespucci, al quale viene accostata la storia del prozio del cantautore, Enrico Guccini.



Da Croniche Epafaniche:

Mio zio Enrico, il fratello minore di mio nonno Pietro, veniva abitualmente chiamato Nerico, con metàtesi dialettale curiosamente usata se lo nominavano in italiano; in dialetto, invece, lo chiamavano Merigo. Penso che pochi sapessero, al di fuori della famiglia, che il suo vero nome era Enrico, e non gli altri due che quotidianamente e con assoluta indifferenza si usavano: Nerico era il nome italiano, che, tradotto in dialetto, deve appunto suonare Merigo. Non c'entra Amerigo, e nemmeno l'America, anche se in America, quella del Nord, o Stati Uniti, lui c'era stato davvero.

Della canzone Amerigo Guccini ne racconta anche in “Un altro giorno è andato” di Massimo Cotto:

"Amerigo", la canzone che dà il titolo all'album è la più bella, completa, finita, ricca di cose e forse una delle più belle che io abbia mai scritto. E' lei che ha trainato l'album, più ancora che "Eskimo", che pure è diventata nel tempo forse ancora più famosa di "Amerigo". […] Mi affascinava da sempre l'idea di una canzone su Enrico, il mio prozio emigrato in America. C'è un confronto continuo tra la sua America - emarginata, di fatica, di sconfitte - e la mia - fatta di miti e immaginazioni, di viaggi di fantasia. Le immagini non si sovrappongono ma restano distanti le une dalle altre: la sua America di lavoro e sangue, fatica uguale mattina e sera, per anni da prigione, di birra e di puttane, di giorni duri, di negri e di irlandesi, polacchi ed italiani nella miniera, di sudore ed antracite; e la mia America provincia dolce, mondo di pace. Avevo già conosciuto la disillusione, dopo il mio viaggio in Pennsylvania, quando avevo capito che non tutto luccicava, ma nella canzone lasciai spazio solo all'America immaginata e mai vissuta, l'America sognata a Pàvana dal mulino e da bambino, l'America che era Atlantide, il cuore, il destino, Life, sorrisi a denti bianchi su patinata, Paperino e Gungadin e Ringo, gli eroi di Casablanca e di Fort Apache. Le immagini non si sovrappongono se non nel finale, quando capisco che quell'uomo era il mio volto, era il mio specchio. Amerigo ero anch'io.

Testo:
Probabilmente uscì chiudendo dietro a se la porta verde
Qualcuno si era alzato a preparargli in fretta un caffè d'orzo
Non so se si girò, non era il tipo d'uomo che si perde
In nostalgie da ricchi, e andò per la sua strada senza sforzo
Quand'io l'ho conosciuto, o inizio a ricordarlo, era già vecchio
O così a me sembrava, ma allora non andavo ancora a scuola
Colpiva il cranio raso e un misterioso e strano suo apparecchio
Un cinto d'ernia che sembrava una fondina per la pistola
Ma quel mattino aveva il viso dei vent'anni senza rughe
E rabbia ed avventura e ancora vaghe idee di socialismo
Parole dure al padre e dietro tradizione di fame e fughe
E per il suo lavoro, quello che schianta e uccide: il fatalismo
Ma quel mattino aveva quel sentimento nuovo per casa e madre
E per scacciarlo aveva in corpo il primo vino di una cantina
E già sentiva in faccia l'odore d'olio e mare che fa Le Havre
E già sentiva in bocca l'odore della polvere della mina
L'America era allora, per me i G.I. Di Roosvelt, la quinta armata
L'America era Atlantide, l'America era il cuore, era il destino
L'America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata
L'America era il mondo sognante e misterioso di Paperino
L'America era allora per me provincia dolce, mondo di pace
Perduto paradiso, malinconia sottile, nevrosi lenta
E Gunga-Din e Ringo, gli eroi di Casablanca e di Fort Apache
Un sogno lungo il suono continuo ed ossessivo che fa il Limentra
Non so come la vide quando la nave offrì New York vicino
Dei grattacieli il bosco, città di feci e strade, urla, castello
E Pavana un ricordo lasciato tra i castagni dell'Appennino
L'inglese un suono strano che lo feriva al cuore come un coltello
E fu lavoro e sangue e fu fatica uguale mattina e sera
Per anni da prigione, di birra e di puttane, di giorni duri
Di negri ed irlandesi, polacchi ed italiani nella miniera
Sudore d'antracite in Pennsylvania, Arkansas, Texas, Missouri
Tornò come fan molti, due soldi e giovinezza ormai finita
L'America era un angolo, l'America era un'ombra, nebbia sottile
L'America era un'ernia, un gioco di quei tanti che fa la vita
E dire boss per capo e ton per tonnellata, "raif" per fucile
Quand'io l'ho conosciuto o inizio a ricordarlo era già vecchio
Sprezzante come i giovani, gli scivolavo accanto senza afferrarlo
E non capivo che quell'uomo era il mio volto, era il mio specchio
Finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo(3 volte)
https://www.francescoguccini.it/discografi...

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